Nove anni fa il terribile sisma che ha distrutto L’Aquila. A distanza di quasi un decennio la città sta provando a rinascere investendo su ricerca e innovazione. Leggi il mio intervento su Il Messaggero. 

Trasformare una crisi in opportunità. A parole è un concetto facile, estremamente semplice, lineare. Nella realtà il superamento di una situazione di difficoltà, e in alcuni casi addirittura il miglioramento della condizione preesistente, sono la risultante di tanti fattori, alcuni spesso sconosciuti a chi è oggetto di un dramma.

Le calamità naturali che hanno trasformato ancora una volta le comunità dell’Italia centrale, oltre alla inevitabile tragedia, stanno producendo un cambiamento radicale nel rapporto tra i cittadini e i luoghi di origine, che sta modificando non solo le abitudini e i costumi ma la stessa percezione che gli abitanti avevano di quegli spazi.

Prima del terremoto del 2009 in pochi in Italia e anche in Abruzzo sapevano che L’Aquila era la sesta città italiana per numero di monumenti ed estensione del suo centro storico.

Il terremoto ha restituito a L’Aquila le antiche cinta murarie, emerse dopo l’abbattimento di palazzi costruiti negli anni del cemento selvaggio. Gestite dalle associazioni culturali della città (Jemo ‘Nnanzi ad esempio sta svolgendo una straordinaria attività di rigenerazione culturale), quelle mura per chi viene in autostrada da Roma costituiscono un primo e prezioso biglietto da visita della città. Per non parlare dello splendore della Basilica di Collemaggio, riportata dopo un attento restauro filologico promosso da Eni e curato dall’Università de L’Aquila all’intensa spiritualità dell’elezione dell’eremita Celestino da Morrone a Papa.

Se dopo 300 anni dal sisma del 1703 il terremoto non fosse arrivato a causare di nuovo distruzione e morte, la città de L’Aquila, che stava vivendo un lungo e difficile periodo di crisi economica e di identità, con ogni probabilità non sarebbe mai stata inclusa tra le cinque città italiane che stanno sperimentando il 5G.

A Milano e Bari hanno sede due prestigiosi Politecnici, e sono stati indicati dal Governo tra i Centri di Competenza che dovranno sviluppare Industria 4.0. Avviare la sperimentazione del 5G in queste due città, quindi, appariva in linea con l’impatto in termini di innovazione e di Pil che produce la conoscenza.

La scelta de L’Aquila ugualmente va letta come un implicito riconoscimento ad una realtà che attraverso la ricerca (si pensi al contributo anche del Gran Sasso Science Institute, dell’Istituto di Fisica nucleare e della sperimentazione all’Università della macchina intelligente con Google e FCA) può e deve diventare uno dei Poli più importanti in Europa.

Per competere nel mercato globale, nel quale i talenti sono in movimento perché attratti dai luoghi più innovativi, bisogna abbandonare l’alibi del piccolo è bello. L’Aquila ha posto le basi per la sua rinascita investendo sulla ricerca internazionale come testimoniano l’aumento degli scambi tra gli studenti, l’investimento della media company cinese ZTE che ha preferito il capoluogo dell’Abruzzo al Politecnico di Torino proprio grazie al 5G e al know-how dell’Ateneo aquilano, e sulla capacità di diventare grande anche con progetti simbolici come quello dei sottoservizi, nel quale confluiranno le autostrade della conoscenza (fibra ottica, telecomunicazioni).