Il Giro d’Italia è passato anche in Abruzzo. La tre giorni abruzzese è stata l’occasione per fare il punto sullo stato del turismo regionale. Il mio intervento su Il Messaggero. 

Nel 2017 una ricerca della Bocconi ha rilevato che l’impatto del Giro d’Italia sul turismo è altissimo perché porta in dote oltre 26 mila pernottamenti. Degli introiti generati, il 42% viene dagli spettatori che seguono la carovana rosa in giornata, il 34% dalle spese degli addetti ai lavori, il 24% da spettatori che soggiornano. L’audience media giornaliera del Giro è di 1 milione e 800mila utenti, con il 14,4 % di share medio in tv. Il rimbalzo delle immagini e delle informazioni in rete ha numeri enormi. Su twitter l’account del Giro è seguito da 650.000 followers, quello della Gazzetta dello Sport da 1,7 milioni, mentre sono migliaia ogni giorno le immagini postate su Facebook e Instangram.

Nel 2016 l’Abruzzo è stata la terzultima regione italiana per numero di stranieri, nonostante sia ad un’ora da Roma e da meno di tre ore da Napoli e Bologna, su un asse viario strategico lungo le direttrici adriatica e tirrenica.

Le Marche per rilanciare la propria immagine dopo il sisma hanno investito sul Festival di Sanremo e su una intelligente campagna di comunicazione presentata alla Bit, che ha avuto come protagonisti i Marchigiani famosi, da Diego Della Valle agli chef Uliassi e Cedroni, oltre ad un cartellone estivo di altissimo livello coordinato dall’attore marchigiano Neri Marcorè. La promozione turistica abruzzese è incredibilmente ferma sotto il profilo strategico, perché le iniziative promosse con l’Open Day (1,3 milioni di spesa) sono sporadiche, per nulla sistemiche, e non rispondono ai canoni del turismo contemporaneo: vivere una esperienza totale, essere contagiati ed entrare in empatia con i luoghi nei quali si soggiorna.

In Abruzzo manca un’idea strategica che abbatta i campanilismi, superando una certa remissività e un certo provincialismo che impediscono il raggiungimento di obiettivi prestigiosi.

In Abruzzo per anni si è continuata a citare con una certa insistenza la Puglia come modello culturale e turistico a cui fare riferimento per programmare la crescita abruzzese. Nel lavoro culturale la Puglia da oltre un decennio è uno straordinario laboratorio propulsivo, perché è riuscita ad avviare una radicale transizione fondata proprio sulla creatività, che prima di tutto è stata un investimento sulla rigenerazione urbana. Dal 2005 l’allora assessore regionale all’Urbanistica Barbanente ha messo in campo una nuova governanceper regolare lo sviluppo urbanistico, con una legislazione destinata a diventare un punto di riferimento nazionale, grazie anche alla capacità di promuovere la riqualificazione di quartieri degradati, spazi pubblici dismessi, dati poi in gestione per le attività di coworking.

Il cuore del Modello Puglia è, per dirla con le parole del sociologo industriale Aldo Bonomi, la creazione delle agenzie e dei programmi verticali dedicati allo sviluppo delle filiere culturali (Apulia Film Commission, Puglia Sound, Teatro Pubblico Pugliese degli anni ’80 e Puglia Promozione per il turismo), del distretto orizzontale della Puglia creativa, che si è trasformato in una vera e propria fabbrica dell’intrattenimento, capace di creare un nuovo modello turistico. Per arrivare fin qui la Puglia – che nel frattempo ha investito sulla qualità dei servizi e potenziato due infrastrutture strategiche come gli aeroporti di Bari e Brindisi – ha impiegato più di un decennio. La strada dell’Abruzzo è in salita, ma tutto dipenderà dalle scelte manageriali che la politica metterà in campo per trasformare una regione in un Modello.