Un primo risultato parziale il ministro degli Interni Salvini l’ha ottenuto: la necessità della collaborazione di un altro governo nell’accoglienza, quello stesso Paese che in questi ultimi anni non aveva dimostrato grande attenzione verso la problematica, in prevalenza percepita come italiana e greca, per nulla europea.

La questione Aquarius deve essere lo strumento per un accordo tra le istituzioni UE, che devono chiarire un equivoco di fondo: l’immigrazione è un problema europeo o nazionale?

Se è una tematica comunitaria, allora è necessario promuovere un programma che agisca sia sulla gestione dei confini che sui ricollocamenti ed i rimpatri.

Se non lo è allora ciascun Paese europeo può scegliere di affrontare l’immigrazione con i metodi che politicamente ritiene più opportuni, come fa con una certa disinvoltura Macron.

In particolare la difesa dei confini marittimi sembra essere un punto constatante e trascurato dalle trattative in sede europea ed invece rischia di aprire delle faglie ancora più profonde tra gli Stati europei propensi all’accoglienza e altri che procederanno con la chiusura dei porti. Quello che emerge ancora una volta dalla vicenda e’ la reiterata assenza di una politica unitaria della Ue sull’immigrazione, che rischia di delegittimitare le istituzioni di Bruxelles, incapaci di programmare soluzioni ed interventi ad un problema che tocca le vite dei cittadini, non solo europei. La inevitabile conseguenza di questo immobilismo della UE è che le forze con idee anti-immigrazione stanno guadagnando consensi in tutti gli Stati membri e che la fiducia verso la UE crolla in modo vertiginoso (dal 75% del 2008 al 34% del 2018, Fonte Ipsos).

Quanto può ancora durare una UE che non è in grado di elaborare e costruire strategie comuni sul tema dell’immigrazione?

È questa la domanda che oggi la vicenda Aquarius pone ad ognuno di noi.