Il primo colpo ben assestato al sistema della rappresentanza Sergio Marchionne l’ha dato alla fine del 2011 Sergio Marchionne, quando fece uscire l’azienda di Torino da Confindustria. Da allora tutto è cambiato nelle relazioni tra le imprese, le associazioni di categoria, le organizzazioni sindacali ed i territori.

Ognuno si è mosso in modo autonomo e, complice anche la debolezza della politica che non è riuscita a costruire una sintesi adeguata, Confindustria e sindacati per molti anni non sono stati più in grado di promuovere un approccio innovativo e sinergico alla risoluzione dei problemi. E la conflittualità, esasperata dalla crisi economica, si è tradotta in meno iscritti dall’una e dall’altra parte.

L’ultima parte del 2016, però, ha segnato una inversione di tendenza significativa destinata a cambiare le regole del gioco, e a innescare una nuova stagione di relazione, meno conflittuale e più costruttiva.

Prima il Patto per la Fabbrica, lanciato ad ottobre dal numero uno di Confindustria Boccia a Capri, e poi l’intesa siglata a novembre in Federmeccanica, con il quale per la prima volta sono state messe la formazione continua e il tema delle competenze al centro dell’agenda (oltre ad un aumento in busta paga di 92 euro mensili), hanno proiettato imprese e sindacati in un nuovo perimetro di gioco.

La nomina di Maurizio Landini alla Segreteria generale della Cgil (erano venti anni che un leader della Fiom non sedeva più in Segreteria generale) ha fatto il resto perché l’ex numero uno dei metalmeccanici da almeno quattro anni chiedeva al sindacato di cambiare, e a fronte della vulgata che lo vuole e lo ha ritratto come un barricadero Landini è (pur nei limiti imposti dalla Cgil) un innovatore, e ha perfettamente capito che o il sindacato entra in una nuova dimensione oppure muore.

In un contesto di sfide nuove sia di prodotto (auto elettrica) che di organizzazione (sperimentazione anche in Italia del sistema tedesco che prevede la partecipazione del rappresentante degli operai nel Cda delle imprese) il sindacato o cambia strategia e atteggiamento, o è destinato a tutelare solo se stesso perché nessuno troverà convenienza ad iscriversi e a farsi rappresentare.

Sul fronte opposto delle sigle sindacali da fine 2014 ai metalmeccanici della Cisl c’è un altro innovatore, Marco Bentivogli, che ha modificato strategie, linguaggio e percezione di un sindacato che solo pochi anni fa si trovava a dover affrontare le pensioni d’oro dell’ex numero uno Bonanni, e una successione (quella targata Furlan) poco mediatica ed empatica.

Dai meccanici di Cgil e Cisl, non a caso i settori più industrializzati e forse gli unici in grado di comprendere davvero la portata negativa di almeno un ventennio di anticultura d’impresa, è partita la costruzione di un nuovo sindacato, che vuole sperimentare nelle relazioni industriali, investire su un nuovo sistema di rappresentanza, farsi davvero innovatore e profeta, per citare le parole con le quali Papa Francesco ha indicato alla Cisl la nuova strada lungo la quale muoversi.

Il nuovo modello del Patto per la Fabbrica, lanciato dal presidente di Confindustria Boccia, in realtà ha preconizzato un inevitabile cambio di strategia. Pena la definitiva delegittimazione della rappresentanza industriale e sindacale, che vive da troppi anni stagioni interlocutorie ed opache.

Per tutte queste ragioni dobbiamo dire grazie a Sergio Marchionne, figlio della provincia agricola italiana (Remo Gaspari avrebbe trasformato la provincia di Chieti in una delle più industrializzate d’Italia molti decenni dopo), che è stato capace di innovare nel mercato del lavoro italiano più di quanto abbiano fatto tutte le riforme che si sono succedute negli ultimi venti anni.

Se siamo diventati più moderni anche nel mercato del lavoro lo dobbiamo ad un abruzzese di nome Marchionne, emigrato in Canada a soli 15 anni.