E’ davvero possibile che industria, turismo e ambiente in Abruzzo non possano affatto coesistere? Solo da una strategia che includa una nuova tipologia di sviluppo, che trasformi le potenzialità dell’Abruzzo attraverso un nuovo progetto che ridefinisca il suo brand e contribuisca a riposizionarlo nel nuovo contesto globale, potrà nascere la regione del futuro. Sul Messaggero il mio contributo perché temi e misure strategiche come la Zona Economia Speciale non restino solo slogan. 

L’avvio del dibattito sull’approvazione della ZES (Zona Economica Speciale) a fine consiliatura, rischia certamente di trasformarsi nel cahiers de doleances di molti consiglieri regionali, pronti ad allargare o restringere il perimetro dell’area per includere il territorio del proprio Comune, con l’unico effetto di indebolire una proposta che è già stata elaborata in forte ritardo.

Se è vero che la campagna elettorale non agevolerà la qualità del dibattito su un tema strategico per costruire le politiche industriali dell’Abruzzo dei prossimi 15/20 anni, si possono comunque fin da ora individuare quali saranno le condizioni che possono decretare il successo (o l’insuccesso) della ZES abruzzese, il principale tema in agenda della prossima Giunta regionale.

In particolare la ZES come misura di attrazione di investimenti può contribuire a superare due questioni aperte: la dicotomia costa/aree interne e l’esasperata conflittualità sui territori a causa della equazione ambiente-turismo contro industria, che nell’ultimo decennio ha marcato in modo negativo l’Abruzzo.

Con la ZES l’Abruzzo dell’intermodalità per la prima volta metterebbe a rete il suo patrimonio, calando la misura all’interno di una macroarea che ricomprende i comuni di Vasto, Ortona, San Salvo, Fossacesia, Atessa, Paieta, Cupello, Gissi, Monteodorisio, Mozzagrogna, Mosciano Sant’Angelo, Pratola Peligna, Sulmona, Avezzano, Carsoli e Oricola. Questa scelta, da noi auspicata fin dall’inizio, può finalmente unire l’Abruzzo della costa all’interno, superando una frattura sociale, culturale ed economica secolare.

Ogni ZES deve contenere almeno un porto. A Vasto il nuovo Piano regolatore portuale prevede investimenti per 155 milioni già ricompresi nel Masterplan, ma ne basterebbero almeno 40 per allargare le banchine e ospitare così navi merci più grandi di quelle attuali. Sul porto, inoltre, insiste un intervento di Rfi del valore di 20 milioni per realizzare il collegamento ferroviario per sviluppare l’intermodalità ferro-mare (in questo momento si stanno realizzando i sondaggi lungo il tracciato).

Questi nuovi investimenti darebbero ulteriore linfa ad un porto che negli ultimi anni ha visto aumentare i propri traffici di quasi il 40%, ma che ha dovuto anche fare i conti con un clima ostile agli investimenti, come dimostrano i casi di Casillo, leader nazionale nell’importazione dei cereali, Escal ed Ecoexport che hanno preferito insediarsi in altri porti, con la perdita di movimentazioni di nuove merci per 450.000 tonnellate. Questi episodi sono la riprova che la politica abruzzese dalle polemiche sul Centro Oli in poi (2007) ha rinunciato a fare sintesi tra lo sviluppo dell’industria e la salvaguardia dell’ambiente (l’Abruzzo peraltro è tra le regioni italiane dove è più alto il livello di contestazione ai nuovi insediamenti industriali, ma è anche la terzultima per numero di presenze turistiche).

La ZES, però, ha come finalità quella di attrarre investitori. Chi verrà ad investire nelle aree adiacenti al porto di Vasto se proliferano i ricorsi amministrativi delle associazioni contro gli insediamenti industriali per tutelare la Riserva di Punta Aderci e la spiaggia di Punta Penna? E’ davvero possibile che industria, turismo e ambiente in Abruzzo non possano affatto coesistere? Sono domande alle quali la Regione e le amministrazioni comunali che insistono sui porti di Vasto e Ortona dovrebbero dare delle risposte certe ai potenziali investitori, altrimenti c’è il rischio fondato che la ZES resti solo uno slogan.

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