La bozza di direttiva dell’Unione Europea, che impone il miglioramento energetico per gli edifici residenziali che devono raggiungere la classe energetica E entro il 2030 e D entro il 2033, ci induce ad alcune riflessioni più ampie sul tema della rigenerazione urbana.

Il confronto con alcuni Paesi europei, soprattutto con quelli del nord, conferma l’elevata percentuale di popolazione che in Italia vive in case di proprietà (72,2%), tassate dal 2012 ad oggi per complessivi 185 miliardi di euro, quasi 20 miliardi di euro ogni anno.

Diversamente, la popolazione che vive in affitto a prezzo di mercato è in Germania pari al 39,8%, mentre l’11% occupa un’abitazione a titolo gratuito. La differenza tra i diversi sistemi abitativi nazionali si amplia se si guarda all’offerta di abitazioni sociali. L’ultimo Rapporto di Housing Europe evidenzia che in Italia solo il 3,7% delle famiglie vive in abitazioni di edilizia sociale, una quota nettamente inferiore a quella di molti Paesi europei (30% in Olanda, 16,8% in Francia). Dal confronto europeo emerge, inoltre, che per il 32,7% degli inquilini a prezzi di mercato la spesa per l’affitto supera il 40% del reddito mensile, cifra elevata considerando che il livello valutato oneroso è quello che eccede il 30% del reddito disponibile.

Il mercato della riqualificazione edilizia vale ogni anno solo in Italia circa 20 miliardi di euro, ed è in prevalenza sostenuto con il finanziamento dello Stato. Le misure che si sono succedute negli anni hanno indotto i cittadini a ritenere che nel lungo periodo sarebbe aumentato il valore l’immobile, con il conseguente abbattimento dei costi di gestione. Che, invece, a causa di una tassazione sempre maggiore, sono aumentati in modo esponenziale proprio nell’ultimo decennio.

La direttiva comunitaria e l’inevitabile impatto che avrà sulle abitudini di vita dei cittadini, sono influenzati dal diktat ideologico del movimento ecologista ed ambientalista. La decisione, infatti, vincola gli interventi di riqualificazione solo alla parte residenziale, pari al 30% del patrimonio immobiliare complessivo, senza tenere affatto in considerazione tutto il patrimonio immobiliare pubblico e quello commerciale.

Per alimentare gli immobili residenziali in Europa i combustibili fossili non superano il 12% del totale, perché già oggi viene utilizzata molta legna, seconda fonte dopo gas ed elettricità. Le emissioni di anidride carbonica delle abitazioni europee equivalgono all’1% di quelle globali. Praticamente nulla.

La transizione verso un’economia sostenibile basata sulla tutela dell’ambiente è soprattutto una sfida culturale, ma non può essere il patrimonio immobiliare privato a farsi carico di questo passaggio nodale, anche perché i numeri di questa grande operazione come già detto hanno un peso specifico del tutto irrilevante nell’economia complessiva della sostenibilità. E presentano un ulteriore rischio: quello di accelerare in Italia la desertificazione delle aree interne. Buona parte del patrimonio immobiliare nelle aree appenniniche e in molte zone del Sud, infatti, incorpora un valore inferiore ai costi di gestione.

La conseguenza dell’attuazione della direttiva, per aree già compromesse sotto il profilo demografico ed economico, sarebbe un ulteriore abbandono di questi immobili, con ripercussioni evidenti sul decoro e il degrado dei borghi.