Superati gli ostacoli imposti dal primo round delle nomine e dalla votazione dello scostamento di bilancio avvenuta non senza patema, e approvato il taglio delle tasse simbolicamente il 1 maggio, il confronto dei prossimi mesi del Governo si sposterà in Europa.

Il percorso fino alle Europee del 2024, nei fatti elezioni di midterm, sarà indicativo non solo per decifrare lo stato di salute dell’esecutivo, ma anche il peso politico europeo della stessa Meloni, soprattutto se l’ipotesi di intesa tra il Ppe e i Conservatori dovesse concretizzarsi.

La tenuta dei governi costruiti sull’asse Ppe-Ecr, infatti, sarà decisiva per comprendere la prospettiva di questo piano operativo comune, che nel 2024 può modificare notevolmente l’orizzonte politico di Bruxelles.

Certamente il contesto generale non è del tutto favorevole, con l’inflazione che se dovesse mantenersi alta anche nei prossimi mesi, rischia di vanificare lo sforzo del Governo deciso con il taglio del cuneo fiscale, perché la percezione del provvedimento sarebbe inevitabilmente ridimensionata.

L’inflazione, infatti, è tornata a salire un po’ in tutta l’Eurozona, con possibili effetti sulla strategia della BCE, che dovrebbe proseguire la sua decisione di rialzare i tassi almeno fino a luglio. Scelta che inevitabilmente metterà l’Italia in difficoltà, visto il suo debito così alto.

In Italia, poi, insieme con il caro vita a tenere banco sono i temi dei bassi salari e dei minimi contrattuali, che costringono il Governo a muoversi con discrezione tra le esigenze dei lavoratori e la rigidità dei conti pubblici.

Sul fronte europeo ci sono da affrontare le questioni rilevanti dell’attuazione del Pnrr, della revisione del Patto di Stabilità e dell’applicazione del MES.

La crescita di un sistema economico e sociale, come è noto, non deriva solo dalla disposizione delle risorse finanziarie.

I numeri impietosi della spesa rendicontata sui fondi comunitari e i 15 anni medi per realizzare un’infrastruttura del valore di 100 milioni, dovevano rappresentare la spia che avrebbe dovuto indurre i Governi Conte II e Draghi ad un esercizio di cautela trattando un argomento così ostico e potenzialmente deflagrante quale era, ed è ancora di più oggi, il Pnrr.

Era, infatti, impensabile ammodernare il sistema infrastrutturale italiano in soli quattro anni, come ha ribadito in questi giorni anche il presidente del Friuli Venezia-Giulia Fedriga, e sarà inevitabile procedere alla revisione dello strumento sia sotto il profilo temporale che nella scelta delle opere da mantenere in esercizio.

La revisione del Patto di Stabilità, poi, con il mancato scorporo degli investimenti produttivi dal conteggio del debito e il parametro dello 0,5% di rientro, inevitabilmente ridurrà il margine di operatività dell’Italia e colpirà indiscriminatamente i ceti meno abbienti e le imprese.

Chi scrive, poi, è da sempre contrario al MES, ancora oggi gravato da troppe e rigorose condizionalità.

Il documento dell’Eurogruppo presuppone che l’utilizzo delle risorse per finanziare i costi sanitari sarà libero ma, dopo l’emergenza Covid, afferma che “lo Stato membro dovrà rafforzare i suoi fondamentali economici e finanziari, in coerenza con il quadro di coordinamento e di sorveglianza economica e di finanza pubblica dell’Ue”.
Forse sarò troppo sintetico ma, in altre parole, questo significa mettersi tra le braccia della Troika.