Senza ricostruire la fiducia nello Stato sarà difficile realizzare le opere previste nel PNRR. E’ il senso del mio intervento su Il Tempo, che passa in rassegna la necessità di revisionare il PNRR e i limiti della politica del no a tutto.
Per realizzare un’infrastruttura del valore economico di 100 milioni in Italia si impiegano in media 15 anni. Era, pertanto, impensabile ammodernare il sistema infrastrutturale in soli quattro anni, nonostante il PNRR avesse previsto il ricorso all’appalto integrato.
L’impossibilità di trasformare in cantieri la maggiore disponibilità di risorse in capo agli enti locali con il PNRR pone quindi i veri temi in agenda, che sono quelli delle competenze e della capacità di programmazione, argomenti complicati da affrontare soprattutto nei Comuni di dimensioni più modeste.
L’apparato statale, infatti, sta rispondendo bene all’impatto del PNRR sulle strutture dei Ministeri. Le difficoltà riguardano, come ampiamente previsto, le amministrazioni locali, le cui aree tecniche sono state svuotate delle necessarie competenze, a causa di riforme imperfette come quella delle Province o del blocco del turnover.
L’investimento sulle figure tecniche deve essere un punto nevralgico della revisione del PNRR, un percorso obbligato nella gestione di progetti complessi per rendere più competitivi i territori italiani, con una ricaduta significativa anche sul sistema locale delle imprese.
C’è un altro tema per nulla indagato nell’attuazione del PNRR e concerne le strategie e le azioni per ricostruire un clima positivo di fiducia e di consenso intorno alla Pubblica Amministrazione. Anche per superare il Nimby sui territori.
Agli inizi del 2000 la legge 150 aveva disciplinato lo strumento della comunicazione pubblica per riorganizzare la PA, e misurarne il grado di trasparenza.
Quella norma sembrava avere infranto per sempre la barriera invisibile che separava i cittadini dal potere burocratico, ridisegnato solo alcuni anni prima dalle cosiddette Leggi Bassanini, promosse per disciplinare e definire i confini e gli orientamenti tra il potere politico e la dirigenza pubblica.
Dopo poco più di un ventennio ci si sta interrogando di nuovo sull’opportunità di rivedere quei limiti, che nel frattempo si sono dilatati perché alla crescita della professionalizzazione della dirigenza pubblica non ha fatto seguito un’adeguata preparazione della classe politica, complici la crisi dei partiti, la mancanza di selezione e di formazione della casse dirigente, e il populismo amplificato da una forte contestazione al sistema.
Senza rinnovare e rendere trasparente il dialogo con i territori (si vedano l’ostruzionismo ai rigassificatori e alle trivelle in Adriatico nonostante la necessità di avere gas ma anche la azioni positive di società come Terna e Snam), sarà difficile realizzare nuove infrastrutture.
Al di là della valutazione economica, spesso è proprio la dimensione sociale delle infrastrutture che determina la tensione sui territori, perché non viene correttamente interpretata a causa della percezione errata determinata dalla carenza di strategie di comunicazione e di partecipazione. Nodo, questo, sul quale il Codice degli Appalti, appena varato dal Governo, vuole intervenire per rendere stabile anche in Italia il Dibattito pubblico dopo l’esperienza in Francia.