Il difficile contesto internazionale, le azioni di contrasto all’inflazione che stanno accompagnando la politica della Bce e le condizioni economiche del nostro Paese, sono alcune delle considerazioni di partenza che nella discussione sulla fiscalizzazione degli aumenti delle accise devono essere valutate per evitare facili strumentalizzazioni e il consueto richiamo alla demagogia. Il precedente governo, presieduto da Mario Draghi, aveva provveduto a fiscalizzare una parte delle accise, per evitare di pesare sulle tasche dei consumatori. Quel provvedimento, però, era a tempo, e alla sua scadenza la questione, come poi è avvenuto, sarebbe passata nelle mani del nuovo esecutivo.
Le ragioni economiche che hanno impedito allora una scelta più drastica per procedere alla sterilizzazione permanente di almeno una parte delle accise gravanti sui prodotti petroliferi, si sono rilevate essere ancora più attuali oggi, con un nuovo governo in carica (il primo politico dopo un decennio), il cui riferimento nelle scelte compiute in questi giorni è stata la legge di bilancio. Con la manovra di fine anno, infatti, il nuovo governo si era già assunto la responsabilità di aumentare di 1 punto di Pil il deficit di bilancio. Il tutto in un contesto di politica monetaria certamente non favorevole, con la Bce che stava accelerando lungo la via del rialzo dei tassi di interesse, aumentati in pochi mesi da meno 0,5% a più 2,5. Con la possibilità concreta, peraltro, che possano aumentare ancora fino a toccare il tetto del 5% in estate. Il caro energia, poi, aveva ulteriormente ristretto il perimetro di gioco, perché proprio per contrastarne gli effetti erano state destinate alle imprese e alle famiglie la maggior parte delle risorse derivanti dallo scostamento di bilancio, votato a novembre in Parlamento.

L’apprezzamento dei mercati finanziari alla prima manovra del Governo guidato da Giorgia Meloni era stato confermato, poi, dal forte abbassamento degli spread sui decennali italiani, diminuiti del 13% in meno di dieci giorni. Sul piano finanziario, quindi, la scelta di non procedere alla fiscalizzazione degli aumenti delle accise è del tutto equivalente a quella dello scostamento di bilancio. Entrambe le soluzioni contribuiscono a sospingere verso l’alto il tasso d’inflazione. Nel primo caso incidendo direttamente sui costi di produzione; nel secondo, indirettamente, grazie alla maggiore liquidità immessa nel sistema.

Si poteva procedere quindi ad un nuovo scostamento del valore di 10 miliardi di euro, che sarebbe costato all’Italia almeno un altro mezzo punto di Pil? La risposta è certamente no, e oggi fuori dalla discussione rituale tra le parti che accompagna l’approvazione della legge di bilancio, questa fase delicata per il Paese impone il ricorso ad azioni responsabili, prive di demagogia.