Lo scorso 9 maggio sono state approvate dalla Camera alcune mozioni in materia energetica nel quadro del raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica, per valutare l’opportunità di inserire nel mix energetico nazionale l’energia nucleare quale fonte alternativa e pulita per la produzione di energia.

Gli ambientalisti veri dovrebbero essere contenti perché i provvedimenti hanno ribadito la centralità della decarbonizzazione nel processo di transizione energetica, percorso che senza il ricorso al nucleare è però fortemente a rischio perché non può dipendere esclusivamente dalle rinnovabili.

Proprio alcune settimane fa avevo auspicato da queste colonne che il Governo facesse cadere i pregiudizi sul nucleare.

Procedere in questa direzione avrebbe significato l’abbandono dell’ecologismo come bandiera ideologica, per calarlo invece sui problemi quotidiani per migliorare la qualità della vita delle imprese e dei cittadini, come fece proprio l’Italia, che nel 1966 era il terzo produttore al mondo di energia nucleare dopo Stati Uniti e Gran Bretagna.

Escludere oggi il nucleare dal mix energetico avrebbe un costo economico importanteperchèrichiederebbe investimenti aggiuntivi sulle altre tecnologie, che verrebbero in buona parte trasferiti sui consumatori.

Il declino nell’uso dell’energia nucleare nelle economie avanzate determinerebbe sostanziali aumenti degli investimenti nelle energie rinnovabili, con un costo della fornitura di energia elettrica quantificabile in 80 miliardi di dollari in più all’anno fino al 2040; oltre ad un evidente depauperamento tecnologico che rischia di minare oltremodo la competitività internazionale delle aziende italiane.

L’approvazione delle mozioni in aula, la cui prima firmataria è la parlamentare di Azione Daniela Ruffino, ci induce anche a delle riflessioni politiche.

Due mesi fa una simile mozione in Senato impegnava il Governo a non escludere tra le politiche energetiche anche l’energia nucleare. Allora come oggi hanno votato insieme centrodestra e Terzo Polo, contrari Pd e Verdi.

L’idea di transizione ecologica pesante sostenuta a Bruxelles dal commissario Timmermans e in Italia proprio da Elly Schlein, si sta scontrando con la realtà della vita quotidiana, sulla quale agiscono dopo gli anni duri del Covid i cambiamenti geopolitici in atto e l’aumento dei prezzi.

Il principale partito di opposizione sta facendo della politica energetica uno slogan, e invece di lamentarsi sul pianeta che muore e dare il proprio sostegno ai ragazzi che scioperano o che sporcano i monumenti, dovrebbe fornire soluzioni concrete sull’individuazione delle fonti di approvvigionamento per favorire la transizione ecologica. Che non può prescindere dalla costruzione di un mix energetico chiaro. Affidarsi quasi esclusivamente alle rinnovabili, fonti che per loro natura sono intermittenti e poco programmabili, significa non garantire elettricità in modo continuativo.

Accanto al gas, che è la meno inquinante tra le fonti fossili e quindi giustamente considerata di transizione, occorre una fonte in grado di garantire quantità, continuità e sicurezza di approvvigionamento alle imprese. Questo ruolo oggi lo svolge in Europa anche il nucleare, che garantisce il 25% dell’energia elettrica prodotta, a fronte dell’utilizzo ancora preponderante del carbone e del gas.