No alle dighe sugli Appennini. No alla protezione dei fiumi. No all’abbattimento degli alberi dentro agli alvei fluviali. Addirittura no al controllo selettivo delle nutrie. Le alluvioni in Emilia-Romagna hanno confermato che l’ambientalismo ideologico è il nemico più pericoloso per la conservazione e la salvaguardia dell’ambiente.

Questa tragedia, infatti, ha fatto emergere storie e situazioni emblematiche del clima ideologico di una parte dell’ambientalismo italiano, come le minacce di morte al sindaco di Ravenna De Pascale, che è anche presidente della Provincia, reo secondo gli animalisti di volere procedere al controllo selettivo delle nutrie, i cui cunicoli scavati nel terreno in prossimità di canali ed argini favoriscono come è noto le infiltrazioni dell’acqua che poi provocano i crolli dei ponti e leesondazioni dei fiumi.

Il caso della diga sul fiume Enza, nel Reggiano, poi è sintomatico di come ragiona un certo tipo di ambientalismo in Italia. L’ultimo stop ai lavori, infatti, li aveva chiesti solo 15 giorni fa il deputato di Europa Verde Angelo Bonelli con un’interrogazione ai ministri dell’Ambiente e delle Infrastrutture.

La costruzione della diga sul fiume Enza, promossa negli anni Settanta dall’allora ministro all’Agricoltura Marcora, è cominciata nel 1988. L’invaso è in grado di trattenere 30 milioni di metri cubi in caso di alluvione. La diga avrebbe dovuto costituire la soluzione al fabbisogno idrico dei territori tra la provincia reggiana e quella di Parma, e nello stesso tempo avrebbe protetto da esondazioni le località a rischio come Sorbolo e Brescello.

Decisivo il ruolo svolto da un altro invaso, la diga di Ridracoli, collocata tra i comuni di Bagno di Romagna e Santa Sofia, che è servita a mitigare e contenere l’impatto devastante della piena di alcuni corsi d’acqua. Così come è accaduto per l’energia (il Tap è stato provvidenziale per accelerare l’indipendenza dal gas russo), anche stavolta le infrastrutture si sono rivelate fondamentali per mitigare l’impatto della natura e salvaguardare la vita dell’uomo.

Per queste ragioni non bisogna sprecare questa ennesima tragedia per parlare di infrastrutture e di modernizzazione nel nostro Paese. Evitando banali e demagogiche dicotomie tra il Ponte sullo Stretto, che andrebbe realizzato, e le infrastrutture che ancora mancano al Mezzogiorno o che devono essere ammodernate nelle altre regioni.

Del resto parlare di energia in Italia, sia sotto il profilo infrastrutturale che di investimenti, era praticamente impossibile solo fino a qualche anno fa. Le contestazioni sul Tap agitate dalla politica in modo trasversale, o le prese di posizioni antiscientifiche sulla xylella, accadevano solo nel 2018.

Oggi lo sviluppo energetico e la conservazione dell’ambiente sono tornati con prepotenza nell’agenda di ognuno di noi. Attivare strategie di ascolto e di comunicazione che possano aiutare le persone a comprendere quello che sta avvenendo diventa fondamentale, se vogliamo trasformare le comunità in cittadini consapevoli.