Sbaglia chi riconduce in modo semplicistico la scelta del governo di tassare gli extraprofitti degli istituti di credito, ad una decisione presa esclusivamente per rimpinguare le casse dello Stato. Con questa misura, che certamente doveva essere illustrata meglio sia nei modi che nei tempi, il governo Meloni ha voluto dare un segnale forte al sistema finanziario, per sanare alcune delle distorsioni degli ultimi anni, in primis i rendimenti negativi sui conti correnti.
Nessuna voce critica, infatti, si era levata quando nonostante l’inflazione e l’aumento dei tassi d’interesse attivi, quelli sui depositi erano rimasti a zero. Depositare i soldi in banca, se valutiamo le spese addebitate, significava per il risparmiatore avere un rendimento negativo. Un costo che nell’ultimo anno si è sommato a quello dell’inflazione, tassa iniqua soprattutto per i meno abbienti, che non hanno potuto o saputo diversificare i loro investimenti finanziari, scegliendo ad esempio di indirizzare i loro risparmi nei Bot a tre mesi, o nei Btp a 4 anni, per avere un minimo di rendimento nel tempo.
Dal 10 maggio di quest’anno i tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, per quelle marginali e sui depositi presso la Bce, sono stati portati rispettivamente al 3.75, 4.0 e 3.25 per cento a favore degli istituti di credito. Le banche in buona sostanza sono remunerate se depositano fondi presso Francoforte, ma non offrono ristori a favore dei propri depositanti. Tra i grandi istituti di credito nessuno ha scelto di farsi concorrenza sul fronte della remunerazione dei depositi, ad eccezione di un paio di grandi gruppi tra cui uno italiano, che hanno proposto di remunerare i conti correnti ponendo tuttavia condizioni sul loro possibile utilizzo.
Di fronte a problemi di questa dimensione, sorprendono quindi le critiche nei confronti del governo. Il problema che ha voluto sollevare l’esecutivo non era tanto quello di tassare il profitto, bensì gli extra ricavi derivanti da una posizione dominante degli istituti di credito nei confronti dei risparmiatori. Una misura presa per mettere in guardia il sistema del credito, che resta un attore decisivo per lo sviluppo delle imprese e la tenuta economica e sociale delle famiglie italiane.