Le affermazioni di Elsa Fornero sulla necessità di una patrimoniale sugli immobili, è la conferma che esiste una parte dell’Italia che rivendica il proprio ruolo di nemico della proprietà immobiliare.
Quello che però dimenticano i nostalgici dei governi tecnici e i tassatori seriali, come li ha definiti in un tweet il presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa, è che una patrimoniale sugli immobili esiste già, e guarda caso ad introdurla fu proprio il governo Monti, di cui la Fornero era ministro del Lavoro.

L’introduzione dell’Imu, infatti, fu giustificata con il fatto che l’Italia, nonostante fosse il paese europeo con la più alta pressione fiscale, era anche quello con la più bassa tassazione della proprietà immobiliare.
E andava pertanto stabilito un riequilibrio, che agli Italiani da allora è già costato 270 miliardi di euro, cioè a dire all’1% del pil. La maggioranza di governo si è impegnata a non promuovere alcuna patrimoniale, ma in realtà questa imposta esiste già, e in una fase macroeconomica complicata da decifrare bisognerebbe pertanto provare almeno a ridurla.
Il mercato immobiliare residenziale in Italia sta vivendo infatti una fase delicata, all’interno di uno scenario reso difficile dalla concomitanza di diverse cause. L’inflazione più alta degli ultimi 35 anni, l’aumento dei tassi di interesse della Bce, la Direttiva Green della UE, i conflitti in atto, il calo demografico, l’aumento delle famiglie unipersonali; tutti fattori che stanno determinando il rallentamento delle compravendite, la cui diminuzione era già cominciata nel 2022 (-5,6% sul 2021), come ha opportunamente segnalato già alla fine di ottobre dell’anno scorso il Centro Studi Ance interpretando i dati Nomisma.
La tendenza negativa è aumentata anche nel 2023, con una variazione del 12,8%.

Al netto delle grandi aree metropolitane che assorbono la gran parte delle transazioni immobiliari, una buona parte del patrimonio abitativo collocato nelle aree interne e nella provincia italiana si è deprezzato progressivamente dal 2011 per una serie di concause, a cui non è estranea proprio la stessa introduzione dell’ Imu. Eppure l’indicatore sulle intenzioni di acquisto di abitazioni misurato dall’Istat ha registrato una crescita quasi costante a partire dal 2020, fino a raggiungere ad inizio 2022 punte vicine ai massimi della serie storica, con la quota di famiglie che dichiarava di essere interessata all’acquisto di un’abitazione nei successivi dodici mesi pari al 4,7%.

La domanda abitativa era quindi ancora robusta. L’esperienza del Covid ha dimostrato che la casa si è trasformata in uno spazio multifunzionale, in modo da corrispondere con flessibilità alle esigenze di tutti i componenti della famiglia. Oggi però oltre un terzo del budget familiare viene assorbito dall’abitazione, con evidenti effetti negativi sulla condizione economica di alcuni gruppi di famiglie. La compressione della spesa legata all’abitazione, attraverso una seria politica di accessibilità al bene casa, è un tema di politica economica non più rinviabile.