La polemica sulla residenza a Montecarlo e sul pagamento delle tasse di Sinner all’estero, è l’ennesima boutade di una lunga diatriba che da anni imperversa nel nostro Paese senza produrre nulla di tangibile.
Anzi determina tutto il contrario. Si inaspriscono le posizioni in campo, si lanciano anatemi contro il cattivo di turno (che non viola affatto la legge perché produce gran parte dei suoi redditi all’estero), senza che questo dibattito favorisca l’unica azione sensata che chiedono i cittadini onesti: l’abbattimento delle tasse.
Sinner vive e lavora all’estero, è spesso in viaggio per partecipare ai tornei in giro per il mondo, e quando torna a Montecarlo si allena nella città monegasca, dove insistono i suoi interessi principali.
Sinner, in buona sostanza, è un lavoratore autonomo che risiede stabilmente all’estero, e la sua scelta non è solo determinata da una mera convenienza finanziaria, perchè l’esigenza di una tassazione ridotta diventa inevitabile per la gestione stessa della sua figura e dello staff che lo coadiuva.
In Italia per la complessità della burocrazia e della normativa fiscale, infatti, Sinner e i suoi collaboratori rischierebbero di essere soggiogati da ulteriori aggravi rispetto a quanto sarebbe stato giusto corrispondere all’erario.
E il nodo della questione è appunto questo: l’alta imposizione fiscale, alimentata anche da una fortissima evasione.
In Italia i contribuenti con redditi superiori a 35mila euro sono il 13,94% del totale e versano il 62,52% delle imposte dei redditi sulle persone fisiche, mentre il 47% (compresi i bambini) non versa alcuna imposta.
Invece di discettare su dove Sinner paga le tasse, perché non apriamo un confronto serio sul perché in Italia pagarle è diventata un’impresa improba, con una pressione fiscale tra le più alte in Europa in rapporto alla qualità dei servizi erogati; la proprietà immobiliare trattata da almeno un decennio come il bancomat dello Stato; gli imprenditori percepiti come un problema più che un’opportunità?
Ciclicamente invece si torna a parlare della necessità di prevedere nuove tasse, e la sortita di Elsa Fornero su una patrimoniale sugli immobili è la conferma che esiste una parte dell’Italia che rivendica il proprio ruolo di nemico della proprietà immobiliare.
Eppure una patrimoniale sugli immobili esiste già, ed è l’Imu la cui introduzione fu giustificata dal governo Monti di cui la stessa Fornero faceva parte, con il fatto che l’Italia, nonostante fosse il paese europeo con la più alta pressione fiscale, era anche quello con la più bassa tassazione della proprietà immobiliare.
E andava pertanto stabilito un riequilibrio, che agli Italiani da allora è già costato 270 miliardi di euro, cioè a dire l’1,6% del pil.
I provvedimenti della semplificazione fiscale, da sempre argomento sul quale i governi di centrodestra hanno investito per mettere alla prova la propria capacità di riformare il Paese, hanno sempre polarizzato e diviso le parti sociali.
Fermo restando il principio costituzionale della progressività, la riforma dell’Irpef del viceministro Leo mira a semplificare il sistema attraverso la revisione e la graduale riduzione dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, nella prospettiva della transizione del sistema verso l’aliquota impositiva unica, attraverso il riordino delle deduzioni dalla base imponibile, degli scaglioni di reddito, delle aliquote di imposta, delle detrazioni dall’imposta lorda e dei crediti d’imposta tenendo conto delle loro finalità, con particolare riguardo alla composizione del nucleo familiare, alla tutela del bene casa, dell’istruzione e della previdenza complementare.
Può essere sufficiente? Per un governo che vuole essere ricordato come quello che ha prodotto il più grande sforzo per la semplificazione tributaria, la lotta all’evasione resta uno degli obiettivi più importanti in tema di equità fiscale.
Gli Italiani onesti lo sperano vivamente perché il Paese si è stancato di ascoltare discorsi sterili, buoni solo a dividere e polarizzare, ma che nella sostanza non contrastano alcuna rendita di posizione.