La tragedia del Ponte Morandi di Genova avrebbe dovuto evitare la recrudescenza di un pericoloso dualismo tra la necessità di manutenere le opere esistenti, e l’indubbia urgenza di nuove infrastrutture. Il Ponte sullo Stretto può essere annoverato tra le opere nuove da realizzare, o resterà confinato per sempre nell’alveo della retorica che da alcuni decenni accompagna l’inizio di ogni legislatura quando si torna a parlare di unire la Sicilia al resto del Paese?

L’inaugurazione del Ponte Morandi nel 1967 era la sintesi di un Paese che sperimentava e innovava. Negli ultimi 30 anni, invece, l’Italia ha realizzato solo il 13% di nuove infrastrutture, e in prevalenza sono state le nuove arterie ferroviarie grazie all’ intuizione di Lorenzo Necci a modificare la mobilità nel nostro Paese, ridisegnando anche l’urbanizzazione tra le grandi città e i cluster di sviluppo economico lungo la direttrice Napoli-Roma-Bologna-Milano-Torino.

Oggi l’opposizione costante alle infrastrutture è diventata la cifra del Paese, come testimoniano i casi eclatanti della Tap, della Tav, della Gronda a Genova, o degli impianti di termovalorizzazione o degli stessi rigassificatori.

Le infrastrutture non sono più percepite come metafora dello sviluppo, ma al contrario vengono osteggiate perché considerate inutili e strumento della corruzione. L’Italia del boom era identificata con le sperimentazioni architettoniche, che avevano anche la capacità di far sognare gli Italiani, come testimoniano gli straordinari manufatti della Bologna-Firenze, un’infrastruttura simbolica dell’Italia di allora che sfidava il futuro. Quei ponti per la bellezza, l’ingegno e la tecnologia, dovrebbero essere catalogati come patrimonio Unesco.

La tragedia di Genova doveva essere, quindi, il monito per superare gli ostracismi beceri che hanno bloccato il Paese dopo Tangentopoli.

Il Ponte sullo Stretto potrà svolgere questo compito, e contestualmente essere il punto di forza del Made in Italy che lancia la sua nuova sfida globale?

Nella realizzazione delle infrastrutture, soprattutto di quelle ad alto impatto simbolico, si pensi al tunnel sotto la Manica, al ponte Oresund che unisce Danimarca e Svezia, al ponte cinese più lungo del mondo, il Danyang-Kunshan che si estende per 164,8 km o a quello di Brooklyn, il primo ponte realizzato in acciaio completato nel 1883, ma anche ad opere come lo stesso Mose a Venezia, c’è sempre una significativa componente immaginifica con la quale si misura l’ingegno umano per superare i limiti imposti dalla natura. Con il raddoppio del Canale di Suez il Mediterraneo è tornato finalmente ad essere un luogo strategico, dove transita il 25% del traffico commerciale marittimo mondiale.

Il Ponte sullo Stretto, pertanto, dovrà essere il simbolo con il quale l’Italia entrerà nella nuova globalizzazione.